Page 6 - Bollettino di Numismatica on line - Materiali n. 13-2014
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Roma, Museo Nazionale Romano	     Collezione di Vittorio Emanuele III
BdN online, Materiali 13 (2014)                       Stefano Di Virgilio

familiare, ovvero Ioannes Bentivolus II bononiensis. Inoltre le monete di Giovanni II erano diffor-
mi da quelle contemporanee bolognesi dal punto di vista della lega e dei nominali, oltre che per
l’aspetto. Secondo il Chimienti le monete d’argento di Giovanni II Bentivoglio erano multipli esatti
del soldo bolognese ed erano battute alla lega di 95,8%, anziché 82%7. I grossi da 4 bolognini e i
grossetti da 2 del Bentivoglio non corrispondevano però esattamente ai contemporanei grossoni e
grossetti: questi ultimi infatti correvano all’epoca per 4 bolognini e 4 denari (grossone) e 2 bolognini
e 2 denari (grossetto)8. Questa scelta ponderale pare sia stata voluta appositamente per distinguere
le proprie emissioni di “signore di Bologna” da quelle cittadine9; si potrebbe anche aggiungere che
la battitura dei doppi ducati in oro e dei quarti di ducato in argento con ritratto, più tardi chiamati
testoni, rientrasse pienamente nel desiderio di Giovanni II di uniformarsi anche sotto questo impor-
tante aspetto alle più prestigiose corti rinascimentali del periodo.

      Le differenze sostanziali con le monete propriamente bolognesi e l’oggettiva “non chiarezza”
sulle proprie emissioni è stata all’origine dell’annosa questione su dove fossero effettivamente state
battute le monete di Giovanni II Bentivoglio: Antegnate o Bologna? Assodato che a Bologna potesse
battere moneta solo il papa, per lungo tempo le monete signorili di Giovanni II sono state classi-
ficate sotto l’inesistente zecca di Antegnate; l’origine dell’errore risalirebbe all’Historia bononiensis
di Carlo Sigonio10, pubblicata a stampa nel 1578, nella quale l’autore affermò che il Bentivoglio, per
non offendere la titolarità papale su Bologna, si servì, per la battitura delle sue monete, dei suoi
feudi lombardi. A differenza delle precedenti cronache, che erano manoscritte, quella stampata del
Sigonio ebbe una larga diffusione e da allora questo errore è stato ripetuto da storici e numismatici
(Muzzi, Litta, Morbio)11.

      I dubbi che già erano stati espressi sulla zecca di Antegnate da parte di Malaguzzi Valeri, Weiss,
Ravegnani Morosini e Bellocchi sono stati poi chiariti da M. Chimienti che ha dimostrato in modo
esaustivo ed inequivocabile che queste monete vennero in effetti coniate a Bologna; un’ulteriore
conferma viene dalla cronaca bolognese di Ludovico Ostesani, redatta in quegli anni, nella quale
l’autore descrive con precisione tipi e corso delle monete emesse dal Bentivoglio12.

      Appena raggiunto l’apice della sua gloria nel 1494, nel momento in cui sembrava che Giovan-
ni II potesse diventare effettivamente signore di Bologna, il destino mutò irreversibilmente a suo
sfavore. Dopo la discesa di Carlo VIII era necessario acquistare l’alleanza dei francesi tramite una
“tassa d’indipendenza” che ammontava a ben 43.000 ducati che furono recuperati tramite l’aumento
dell’esazione fiscale e che vennero versati al successore di Carlo VIII, Luigi XII. La richiesta di prote-
zione “a pagamento” al re di Francia si era resa necessaria a causa dell’aggressività di Cesare Borgia,
il quale, sempre più minaccioso, mirava direttamente ad ottenere il feudo di Bologna, sostenuto da
suo padre, papa Alessandro VI.

      Nell’aprile del 1501 venne scoperta un’altra congiura, ordita dalla famiglia Marescotti i cui
membri vennero accusati di tramare col Valentino; il figlio di Giovanni II Bentivoglio, Ermes, senza
informare il padre uccise diversi membri della famiglia Marescotti, ma questa sanguinosa vendetta
non venne compresa dal popolo e dai nobili bolognesi. Non ci si era dimenticati, infatti, che fu
proprio Galeazzo Marescotti a liberare nel 1443 Annibale, padre di Giovanni II, dalla prigionia a
cui Niccolò Piccinino lo aveva costretto nel castello di Varano. Nel 1502 inoltre Luigi XII, nono-
stante avesse incassato i 43.000 ducati dai Bolognesi, tradì la sua protezione verso la città e verso i
Bentivoglio raggiungendo un accordo con Cesare Borgia, in base al quale la città doveva passare a
Cesare. Papa Alessandro VI convocò a Roma Giovanni II e i figli, minacciando l’interdetto se non si
fossero presentati entro 15 giorni. Convenuto da Giovanni II e dai suoi consiglieri che presentarsi
a Roma sarebbe stata una trappola mortale, nel gennaio 1503 venne inviata un’ambasceria a Roma
per cercare di intavolare un trattato di pace; le trattative stavano procedendo quando papa Ales-
sandro VI nell’agosto del 1503 morì e con lui tramontò di colpo anche la figura del figlio Cesare.

      Nonostante l’inaspettata fortuna che cancellò improvvisamente due rivali così pericolosi, Gio-

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