Page 6 - Bollettino di Numismatica on line - Materiali n. 20-2014
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Roma, Museo Nazionale Romano	     Collezione di Vittorio Emanuele III
BdN online, Materiali 20 (2014)                       Stefano Di Virgilio

      Allo stesso piede della moneta romana, ma con la lega bolognese, venne anche introdotto il
mezzo giulio (o grosso), del quale si ebbero abbondanti emissioni sotto il pontificato di Adriano VI e,
successivamente, sotto Clemente VII; la moneta mostra un ampio stemma inquartato della città e San
Petronio in trono ed erroneamente nel Corpus Nummorum Italicorum viene denominata carlino6.

      La relativa autonomia concessa alla città di Bologna persisteva in ambito monetario anche
con la conservazione della lega d’argento all’82%, più bassa di quella romana: in pratica le mo-
nete d’argento bolognesi contenevano più rame ed erano più pesanti rispetto alle romane, come
si evidenzia proprio dai giulii di Giulio II. I Bolognesi non volevano conservare soltanto la lega
dell’argento, ma anche gli antichi nominali cittadini; persistevano infatti le emissioni di nominali
legati al bolognino la cui battitura continuò nel corso di tutto il XVI secolo. Anche dal punto di
vista formale le monete bolognesi continuavano a distinguersi da quelle prettamente papali mo-
strando le consuete immagini di San Petronio, dello stemma cittadino e del leone rampante. Tipici
esempi di questo parallelismo tra tipologie papali e tipologie bolognesi erano i ducati d’oro; tutti
i pontefici, già dal XV secolo, facevano battere a Bologna ducati col proprio stemma al dritto, ma
parallelamente a questi, fino al pontificato di Clemente VII, verranno ancora battuti i ducati al
tipo del vecchio bolognino d’oro, col leone rampante al dritto. In questo fascicolo sono illustrati
anche gli ultimi grossoni (o gabellotti) del valore di 4 soldi e 4 denari che tanto successo ebbero
nella seconda metà del secolo XV: sia quelli anonimi (senza alcun tipo di segno o armetta) emessi
con ogni probabilità sotto il breve governo di Annibale II Bentivoglio, sia quelli di Giulio II con
l’armetta del Cardinale Legato Giovanni de’ Medici, futuro papa col nome di Leone X. Sempre in
questa sede viene catalogata una moneta di grande rarità e molto difficile da datare, che potreb-
be proprio essere un tipo anomalo di gabellotto, secondo quanto ipotizzato da Chimienti (cat.
n. 578)7. In un documento di zecca del 1508 era prescritta la battitura di “gabellotti” da 4 soldi e
l’unica moneta che si avvicina a questa tipologia potrebbe essere proprio questa della Collezione
Reale che però, considerato l’aspetto troppo anonimo, e forse anche troppo “autonomo”, venne
probabilmente tolta dalla circolazione; un’altra ipotesi circa l’emissione di questa moneta è che
potrebbe essere stata emessa durante il breve governo di Annibale II Bentivoglio e che per gli
stessi motivi venne coniata in pochi esemplari, preferendo tornare ad emettere i grossoni di tipo
vecchio, senza però nessuna armetta.

Clemente VII
      Sotto il pontificato di Clemente VII la più importante innovazione nel campo della moneta

fu indubbiamente la battitura dello scudo d’oro che andava a sostituire definitivamente il vecchio
ducato (o bolognino). L’introduzione dello scudo d’oro, di titolo più basso rispetto al ducato, si era
resa necessaria poiché con la fluttuazione verso l’alto dell’oro capitava che ducati, bolognini e zec-
chini venissero esportati per essere fusi; questo naturalmente non accadeva solo in Italia, ma in tutti
gli stati europei dell’epoca e infatti i primi scudi d’oro furono battuti in Francia. La nuova moneta
aveva un titolo pari a 917‰ e tra i primi scudi d’oro papali vi furono proprio quelli bolognesi battuti
nel 1533. Le caratteristiche di questa moneta, che circolò per due secoli, erano piuttosto standar-
dizzate e sempre uguali, con lo stemma papale al dritto e una croce fogliata al rovescio; in questo
la moneta richiamava molto gli scudi simili coniati in Spagna, Francia, Napoli, Firenze, Venezia e
Genova che, assieme a quello papale, erano denominati “scudi delle 7 stampe”. Al rovescio dello
scudo d’oro bolognese la croce fogliata lasciava uno spazio in basso abbastanza ampio per poter
apporvi le armette della città e del Cardinale Legato (in qualche caso anche del Governatore o del
vice Legato); in tal modo, seguendo le antiche tradizioni iconografiche delle monete bolognesi, si
ribadiva la suddivisione delle autorità cittadine e col nome della città ben chiaro sul rovescio, reso
nel motto BONONIA DOCET.

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