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Il Medagliere del Museo Archeologico Nazionale d'Abruzzo - Villa Frigerj

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Il "tesoro" di Giulianova

Il ripostiglio di Giulianova (V 11), rinvenuto nel 1941, è costituito da 168 ducati (o zecchini) veneziani che coprono un lungo lasso di tempo. L’esemplare più antico (figura 1) fu emesso dal doge Pietro Gradenigo (1289-1311), il più recente dal doge Antonio Vernier (1382-1400), epoca cui può essere fatto risalire l’occultamento di questo autentico tesoro.

Il primo livello di lettura è costituito dalla stessa organizzazione delle vetrine. Le monete sono infatti disposte in ordine cronologico crescente da sinistra verso destra, con le emissioni dei singoli dogi indicate attraverso la trascrizione in circoli della legenda del dritto (figura 2).
La simmetria della distribuzione, evocando la cura dell’antico collezionista, permette anche di effettuare un approssimativo calcolo percentuale dei tipi presenti e dei tempi in cui i pezzi furono tesaurizzati, con un picco non a caso collocabile nella seconda metà di quel XIV secolo che rappresentò una fase di notevole fioritura dell’attuale Abruzzo.
Al tempo degli Angioini, infatti, l’antico percorso che almeno dall’età arcaica collegava direttamente le aree centrali della penisola con quelle meridionali attraverso le valli intramontane appenniniche fu ripreso e trasformato nella “Via degli Abruzzi” che, mettendo in comunicazione i centri di L’Aquila, Sulmona e Castel di Sangro con le grandi capitali dell’epoca (Napoli e Firenze), determinò un importante fattore di crescita grazie alla commercializzazione di prodotti lavorati localmente: in primo luogo bisogna naturalmente citare l’industria tessile della lana, di antichissima tradizione, accanto a questa va ricordata anche quella della seta, prodotta non in grandi quantità a Sulmona ma assai apprezzata dal mercato fiorentino. Nella stessa zona si sviluppò quindi il commercio dello zafferano, introdotto in Abruzzo dall’inizio del Trecento, della carta, delle pelli, della ceramica e delle oreficerie, che raggiunsero livelli qualitativi notevoli come dimostra l’attività di Nicola da Guardiagrele, la cui arte si forgiò appunto alla scuola dei maestri sulmonesi sullo scorcio del secolo.
La floridezza economica si riverberò naturalmente anche sull’aspetto esteriore delle città, che si dotarono di architetture monumentali e di opere d’arte: risalgono proprio a quest’epoca, per esempio, le grandi chiese de L’Aquila e molti di quegli edifici che ne fecero la seconda città del Regno di Napoli.
Nei vivaci flussi di scambi che ebbero luogo possiamo ben immaginare che Venezia, nel frattempo regina dell’Adriatico e protagonista di una politica di espansione anche sulla terraferma, non sia rimasta al margine. E forse non è un caso che l’ignoto proprietario del tesoro esposto nella V 11 risiedesse a breve distanza dalla costa, in prossimità della foce di uno di quei fiumi che, su un litorale così povero di porti naturali, fornivano almeno degli approdi sicuri. Certo l’ipotesi che si trattasse di un mercante è abbastanza plausibile, oltre che intrigante, e comunque illustra in maniera esemplare la molteplicità delle chiavi di lettura offerte dalla moneta, il cui valore fondamentale consiste per gli archeologi appunto nella possibilità di restituirci uno spaccato di storia economica, e anche di raccontare un frammento di storia umana.

Amalia Faustoferri

 

  
Figura 1 – Ducato del doge Pietro Gradenigo (1289-1311)Figura 2 – Vetrina del ripostiglio di Giulianova  

 


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